Piero Ruggeri – Neonaturalista informale aformale
Ruggeri, fu pittore in un periodo storico in cui ovunque trionfava l'antipittura. Ma all'uscita dalla tela finalizzata all'occupazione del white cube come nuovo spazio dell'arte, all'opera come evento installativo (una via pure tentata da Emilio Vedova), alla totale liberazione della processualità della materia, replica da subito con la sua irriducibile identificazione nella spazialità organizzata del "quadro" e la processualità , per lui, resta quella della pittura in mutazione nel suo farsi sotto la mente e la mano dellâ'artista. I modelli, fra gli altri, restavano l'ultimo Tiziano, Tintoretto, Caravaggio, Mattia Preti. Il suo paradigma, in antitesi all'atto artistico come mera esecuzione di un progetto, era quello del pentimento, della cancellazione e della ripresa, unici atti "sicuri" (e non progettabili) della pittura.
Neonaturalista, informale, aformale. Le etichette, nella vicenda di Ruggeri, sono utili, se proprio si vuole, solo per circoscriverne determinate tappe espositive. Tutto, in realtà , era più semplice e a un tempo più complesso, a fronte dei due poli entro i quali si muoveva il pittore: da un lato la natura e le sue metamorfosi, quelle accidentali, quelle create dalla percezione dell'artista e quelle provocate dal ricordo; dall'altro la storia della pittura, all'interno di una costellazione entro la quale Ruggeri riconosceva un linguaggio comune e a lui familiare, ben oltre i giovanili riferimenti alla Scuola di New York. Natura e cultura visiva gli furono madri e matrici e lo sorressero in tutte le tappe del suo lavoro, in quella pittura costruita per "segni", indizio di un pensiero compositivo lucidissimo che sempre presiedette al gesto: lo si vide, talora, in maniera più dichiarata (i "Napoleoni", i "Roveti"), altre volte sottesa e "affogata" nella materia (i cosiddetti "monocromi"); infine, come tagli di luce che organizzano e squarciano le masse materiche nei paesaggi dell'ultima, a tratti abbagliante, stagione.
Ruggeri paga la sua libertà e la sua intelligenza, ma anche la sua voglia di dipingere "comunque" (e di non poter concepire la sua vita senza pittura) anche con alcuni tentativi di cancellarlo, da parte di una certa storiografia curatoriale, da una storia della quale, al contrario, era stato partecipe e protagonista. Ruggeri interrogava le forme e i generi con i quali l'arte si è da sempre misurata: il paesaggio, la figura, l'organizzazione dello spazio e del colore. E del resto la classicità di Ruggeri a distinguerlo da subito, e tanto più ora, dalla vernacolarità che pervade tanta parte dell'Informale italiano e, a renderlo irriducibile a qualsiasi classificazione di tendenza. Tanto meno, appunto, quella "informale".