Fondamenti plastici

Torino, Galleria Del Ponte

La mostra intende ripercorrere la parabola artistica di Riccardo Cordero, indagando gli sviluppi della sua ricerca plastica, a partire dai “fondamenti”, ossia dai presupposti formativi sui quali ha cominciato a delinearsi la sua complessa fisionomia creativa. Ecco così che, inizialmente, il destino professionale di Cordero (nato ad Alba nel 1942) si lega in modo inestricabile a quello di due personalità di assoluto rilievo nel panorama della scultura torinese del secondo dopoguerra, allora fortemente radicata nel territorio ma al tempo stesso aperta ai più aggiornati stimoli internazionali:
Franco Garelli (Diano d'Alba 1909 – Torino 1973) e Sandro Cherchi (Genova 1911 – Torino 1998), entrambi maestri del giovane Riccardo, prima al Liceo Artistico e poi all'Accademia Albertina di Torino; ed entrambi protagonisti di una stagione fertile ed entusiasmante, che ha avuto il momento forse più intenso in quel denso frangente compreso tra la declinazione tridimensionale dell'Informale e le sperimentazioni polimateriche degli anni Sessanta e Settanta, questi ultimi appena lambiti da Garelli, scomparso prematuramente nel 1973.

Il percorso espositivo pone dunque idealmente in dialogo Cordero, Cherchi e Garelli, in primis attraverso una selezione di importanti opere storiche, capaci di evidenziare il fil rouge che lega “linguisticamente” il dettato plastico dei due maestri alla produzione del Cordero degli anni d'esordio (1960-1964), contraddistinta da una sorta di personalissima “rivisitazione critica” dell'Informale, sulla quale si inseriscono progressivamente elementi strutturali geometrici, che diverranno la cifra più matura, compiuta e riconoscibile dell'artista. Nella piena maturità l'ispirazione di Cordero, metabolizzata la lezione di Cherchi e Garelli, si contamina con altre fonti: tra gli italiani lo colpisce il
gesto di Francesco Somaini, ma soprattutto lo affascinano gli scultori britannici (l'amico Phillip King, Anthony Caro), senza dimenticare gli americani David Smith e Beverly Pepper, oltre agli spagnoli Julio González, Pablo Gargallo, Jorge Oteiza ed Eduardo Chillida. La mostra segue l'evoluzione del discorso plastico di Cordero, che passa attraverso la rottura “pop” delle figure in poliestere e gelcoat della metà degli anni Sessanta (comunque sempre memori della valenza tattile delle superfici e della materia) o ancora attraverso le antiretoriche forme aperte dei laminati e dei rilievi successivi, per arrivare gradualmente, dopo la transizione degli anni Ottanta, alla cosiddetta “età del ferro”, dei macromondi spezzati. Un discorso finora in continua evoluzione, dove la scultura (anche nella più aulica accezione monumentale), costantemente in bilico tra leggerezza segnica e disarticolata robustezza strutturale, esiste proprio nel suo aprirsi allo spazio, nel vivere nell'ambiente, come testimoniano ad esempio i recenti lavori pubblici e privati per la Cina, culminati nella realizzazione dell'opera in acciaio corten New Et, alta 17 metri, commissionatagli appositamente per le Olimpiadi e Paralimpiadi invernali di Pechino 2022 e collocata nel parco Shijingshan.

Parallelamente, in controcanto, l'esposizione non trascura gli approdi più avanzati e sperimentali della ricerca degli stessi Garelli e Cherchi: il primo con i Tubi, esposti nel 1966 in una memorabile sala personale alla 33ª Biennale di Venezia; il secondo con le straordinarie “sculture-paesaggio”, concepite a partire dal 1968, ormai lontane dal glorioso tempo milanese di “Corrente” (1938-1940).

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Copertina evento.

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