Horiki Katsutomi, nato a Tokyo nel 1929 e in Italia dal 1969, si era stabilito in Piemonte vent’anni fa insieme alla moglie. Laureatosi in Ingegneria, ha presto rinunciato a farne la sua professione per dedicarsi completamente all’arte e alla definizione ontologica di cosa sia per lui la pittura. La sua produzione artistica, molto varia, spazia dalle vedute di Tokyo sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale – la sua prima violenta ispirazione – alla metafisica, agli studi su Piero della Francesca, dai quali ha trasfuso la sapienza prospettica e plastica pierfrancescani in uno spazio incorporeo e ricco di segni, per poi concludere la sua parabola con la celebre serie di dipinti ispirati all’Odissea ispirati alle tecniche dell’espressionista astratto Mark Rothko.
Le sue ultime grandi tele su Ulisse sono diventate famose in tutto il mondo grazie all’universalità dell’anelito esistenziale che esprime al loro interno, una ricerca dell’umano che si riflette in un’indagine meditativa sull’essenza ultima della pittura. Dalla tensione e dalla riflessione su alcuni motivi omerici tratti dell’Odissea – primi tra tutti l’esilio e la ricerca di un significato ultimo – sono nati dei lavori in cui il tratto astratto riconduce la pittura alla sua più intima essenza di colore, alla luce e alla forma pura. Le tele dedicate a Itaca offrono agli osservatori l’allusione di una soglia, un viaggio nel complesso mondo di relazioni tra il visibile e l’invisibile, tra cultura orientale e occidentale, proprie di tutta la produzione artistica di Horiki. Come il protagonista del poema omerico, l’artista deve cercare incessantemente il senso di ciò che vive e crea per arrivare alla conoscenza del mondo e di sé stesso, in un viaggio che, almeno in teoria, è destinato a non avere mai fine.
– Giulia Giaume